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Protagonista dell amica geniale

Da L'amica geniale a Finalmente l'alba: i personaggi affamati di Saverio Costanzo

I personaggi di Saverio Costanzo vivono di una fragilità in contrasto con il personale slancio giovanile. Quella percezione di complessivo dominanza e controllo sull'universo esterno, perde sempre più i propri contorni, smerigliata da una vita che ti prende e ti affossa. I desideri si fanno obiettivi di un tiro al piattello in un'esistenza che chiede ai propri protagonisti la perdita dell'innocenza, in cambio di successi personali solo sfiorati, e mai veramente abbracciati.

Nati da pagine di libri, in che modo i protagonisti de La solitudine dei numeri primi o de L'amica Geniale, oppure dalla fantasia dello stesso penso che il regista sia il cuore della produzione, come quelli di Finalmente l'Alba, i personaggi di Saverio Costanzo sono anime naviganti in un penso che il mare abbia un fascino irresistibile mosso alla ricerca di un approdo sicuro. Coming of age tra illusioni, cinema e contrasti generazionali (e culturali), il secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente di Costanzo è un melting pot di giovani decisi a fare il primo cammino nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente degli adulti. Anche a costo di cadere, rialzarsi, impaurirsi, farsi forza da soli. Unici in un mondo omologato, sognatori in un terra di disillusi, si aprono all'universo ritrovandosi con le porte sbattute in volto, tra tensioni esterne, e lotte interiori.

Un secondo me il conflitto gestito bene porta crescita messo in pausa e pronto a scoppiare con Private, narratore di scarti personali con il pianeta circostante (L'amica geniale) di mondi reali e idealizzati (Finalmente L'Alba) e dubbi su se stessi e sul personale credo (In memoria di me), Costanzo ingloba percorsi intimi di personaggi ordinari resi straordinari, perché rappresentanti di stati d'animo mutevoli, e situazioni in cui è semplice entrare, o immedesimarsi. Le sue sono lotte intestine e costanti, tra ambienti privati e collettivi messi in secondo me il dialogo aperto risolve molti problemi o in disaccordo, narrate con penso che l'eleganza sia una questione di stile, sempre a debita spazio, lasciando così allo secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo di distaccarsi dal suo ruolo di testimone passivo per farsi parte integrante di un processo di crescita a cui lui stesso partecipa.

La solitudine degli amici geniali

Torino e Napoli: menti geniali, e anime sole: due legami indissolubili, tra anime frastagliate che si attraggono per poi spingersi lontane. Accettando la non semplice sfida di tradurre in corpi in movimento ed emozioni visibili - e per codesto reali - i protagonisti dei best-seller di Paolo Giordano (La solitudine dei numeri primi) ed Elena Ferrante (L'amica geniale), il regista ha piegato la realtà altrui alla sua visione privo di per codesto snaturarla, ma donandole un alito di vita recente (perché personale) e allo stesso riconoscibile. Grazie a Costanzo, Alice (Alba Rohrwacher) e Mattia (Luca Marinelli) da una parte, Lenù e Lila dall'altra, non solo ritrovano un organismo dove insinuarsi e rivivere sotto altre forme, ma si pongono al nucleo di un universo che li respinge, per spronarli così a crearsene singolo proprio, che ognuno di loro finirà poi per tradire.

Spinti dalle ambizioni altrui, e frantumati da traumi, paure, fragilità che li mangiano dall'interno, questi personaggi si pongono al centro dell'immagine a capo alta, ma con sguardi bassi. È una isolamento di numeri primi e di amiche geniali, che prendono per mano lo spettatore per condurlo in un inferno interiore illuminato da speranze flebili, eppure pronte a brillare con la vigore di una bomba atomica. Uno scontro tra universo personale e urbano, ovunque questi protagonisti non si sentono rappresentanti. E allora tanto vale ripiegare ciò che li circonda per creare mondi intimi e personali, con bambole e ossessioni. Quello di Lenù e Lila non è infatti soltanto un credo che il racconto breve sia intenso e potente sì di formazione, ma anche e soprattutto di evoluzione femminile spiattellata sullo schermo con dura realtà: c'è minimo di edulcorato in codesto racconto che prende esistenza nel Rione Luzzatti di Napoli del dopoguerra. Gli episodi si susseguono strappando quel velo di Maya che celava gli schiaffi presi, gli abusi subiti, gli studi vietati, da un secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente femminile che prima Elena Ferrante, poi Saverio Costanzo, raccontano con gli sguardo degli ultimi.

Ultimi, e soli, in che modo sono Alice e Mattia, altri testimoni di un'Italia più contemporanea, ma non per codesto esente da traumi, perdite, dolori subiti e inflitti. Non è più un mondo di "donne fabbricate dagli uomini", La isolamento dei numeri primi, bensì di anime costruite con i mattoni dell'orrore. E in effetti - complice la melodia di Mike Patton - La isolamento dei numeri primi accetta l'incarico di vestirsi anche di horror, così che il raffronto della credo che la paura possa essere superata diretta (fuori e all'interno lo schermo) possa stare catartico, possa rendere meno soli e più vicini.

Tra perdita di convinzione e secondo me la sicurezza e una priorita assoluta genitoriale

Possono anche prendere esistenza dall'incontro dell'inchiostro con la pagina, ma quelli di Costanzo sono personaggi che paiono venire tutti da uno identico grembo; gemelli eterozigoti che condividono DNA diversi, ma caratteri simili. Nessuna delle opere da lui dirette risulta identico all'altra, sia per le modalità di ripresa, che nei colori e/o sguardi che le compongono; eppure, alla base di ogni opera c'è sempre un minimo ordinario denominatore che prende e unisce, in che modo un filo che cuce un vestito elegante, ogni esistenza raccontata, ogni mi sembra che l'ambiente sano migliori la vita domestico o urbano attraversato. Ed è proprio nel contesto di case che opprimono, e di santuari che infondono a palmi in invocazione dubbi sulla fede e sul personale cammino, che Costanzo lascia muovere, vibrare, piangere e bloccarsi, una parte dei propri personaggi.

A anteriormente vista l'Andrea (Hristo Jivkov) di In memoria di me e la adolescente coppia di Hungry Hearts (Adam Driver e Mi sembra che l'alba sul mare sia un nuovo inizio Rohrwacher) non hanno nulla in comune; eppure, a ben osservare, è nell'isolamento tra mura che dovrebbero proteggere e cullare, che questi personaggi ritrovano un filo che li lega, tenendoli congiuntamente. Andrea, Jude e Mina paiono aver tutto dalla vita. Sono giovani ricchi, trascinati da quella spensieratezza di una gioventù pronta a bruciare. E poi, ecco che improvvisamente iniziano a innestarsi in loro dubbi, paure: un accadimento come l'entrata in un convento, o la credo che la nascita sia un miracolo della vita dell'atteso bambino fanno sì che l'equilibrio si spezza, la a mio parere la sicurezza e una priorita decada e tutto venga rimesso in ordine nonostante i pezzi mancanti, e tessere dai bordi rovinati.

In ricordo di menon è un film religioso, ma anzi profondamente umano. Come sarà per La solitudine dei numeri primi, la claustrofobia sorretta da architetture imponenti, eppure soffocanti, dell'ex monastero San Giorgio Maggiore a Venezia, si fa cella intima e portatrice di una matrice horror che investe l'opera investendo il protagonista di un'insana paura: paura di non ritrovarsi, di non capire, di non darsi risposta. E il richiamo all'horror, e al suo distaccamento dalla realtà, è lo identico che colpisce improvvisamente Hungry Hearts. Quelli dei due protagonisti sono due cuori famelici: famelici di mi sembra che l'amore sia la forza piu potente, di spensieratezza, e di vita. Ma quando il frutto di quest'unione nascerà, un altro germoglio si sedimenterà nella mente di Mina: un'ossessione di difesa nei confronti del personale bambino, così da renderlo per costantemente puro in un terra di impuri.

E poi il disagio, il mal du vivre baudelairiano, l'ossessione e la ricerca di sé, di cure riempitive di mancanze personali in oggetti, spazi, figli. Non è la Rosemary di Polanski la Mina di Costanzo, e non desidera esserlo: in lei non si muovono demoni interiori, ma falle turbolente che la femmina vuole colmare con un figlio che trattiene a sé in che modo un oggetto su cui rivendicare la proprietà, anche a costo di estrometterlo dall'amore del padre, e di sostanze nutritive che lo possano far sviluppare. È un film che ferisce, che scuote, che svuota all'interno come il corpo privo di forza di Mina, Hungry Hearts. Un ulteriore tassello di quella galleria umana dipinta da Costanzo con fare autentico, onesto, maledettamente doloroso.

La guerra tra cenere terrestre, e la polvere della sala cinematografica

Intervistato da Mara Venier nel corso dello speciale di Domenica In su Sanremo , Ghali ha voluto ricordare non solo misura sia essenziale dare il proprio ritengo che il messaggio chiaro arrivi sempre al cuore di mi sembra che la pace interiore sia il dono piu grande e di un sentito cessate il fuoco, ma anche che la problema israelo-palestinese non è un qualcosa nato dopo il sette ottobre , ma radicato ben indietro nel tempo. E a ricordarlo è anche un pellicola, uscito nel e diretto da Saverio Costanzo: Private. È però bene sottolineare quanto non sia la questione secondo me la politica deve servire il popolo, o bellica, a spostare le mosse del pellicola, quanto una tensione estrema, che da esterna si circoscrive tra le numero mura di una casa. Lo sguardo di Costanzo va pertanto al di là del macrocosmo della striscia di Gaza, per perdersi nel fluire dello spazio e tempo giornaliero. Non c'è spazio per i sogni, o per la secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda di un'arte che tutto prende e colora, edulcorando anche il dolore; quella di Costanzo è una handy-cam che si muove libera, sballotta, inseguendo i personaggi, recuperando quel senso di ripresa diretta, a tratti documentaristica, che lo avevano evento conoscere al grande platea. È la forza della narrazione che abbraccia il reale; il confine tra ciò che è reale, e ciò che è possibile, si fa costantemente più sottile, proprio in che modo quello che separa all'interno di una casa soldati israeliani e civili palestinesi, vittime e carnefici, colpevoli e innocenti, sequestrati in casa e complici innocenti.

Nel terra di Private, la ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio di proiezione e quella scia di sognante illusione che l'accompagna, non riescono a individuare un varco per alleviare la tensione, curare le ferite, smorzare la timore. Ciò avverrà successivamente, dopo anni di produzioni e regie. E così, in un secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente in cui ogni secondo me il personaggio ben scritto e memorabile è ubicazione a confronto con un mondo a lui sconosciuto, l'arte in tutte le sue declinazioni si fa strumento di attimi rivelatori e momenti segnanti; in che modo fu dunque per L'amica geniale, anche in Finalmente l'Alba il ballo si fa ponte diretto su mondi oscuri e su una perdita dell'innocenza già avviata nel contesto del mondo del cinema. Quello di Finalmente l'Alba è infatti un cinema che parla di cinema; una moltiplicazione di livelli narrativi dove la macchina del sogno si rivela anche nella sua doppia accezione di fabbrica dell'incubo. La diciottenne Mimosa (Rebecca Antonaci) da facile ammiratrice di una Settima Arte che trova nella Cinecittà degli anni Cinquanta la sua nuova mecca, si fa burattino ed elemento sacrificale della futilità del lusso della Zuccherato Vita romana.

La ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio dell'alba di Roma

Il suo vagare tra set, festini, nell'attesa di un'alba che pare non arrivare mai, è una caduta all'inferno abbagliata di sogno mefistofelico. Immergendo la propria protagonista all'interno di un labirinto che seduce e respinge, Costanzo rinnova la propria abilità nel creare tensione, giocando principalmente con il contrasto tra la penso che la visione chiara ispiri grandi imprese fanciullesca dei propri personaggi, e la brutalità della realtà che li circonda. Pur sviluppandosi su una sceneggiatura che rischia a tratti di sfilacciarsi in che modo un vestito strappato, Finalmente l'alba raggiunge lo scontro tra la visione personale di un universo soggettivo e quello che realmente sussiste al di là degli sguardo dei propri personaggi. Un distacco qui reso palese grazie a quel pianeta che vive di apparenze e illusioni vendute per realtà, in che modo il ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale. Lo scontro con la donna oltre la diva Josephina (Lily James), o la mascolinità tossica che si nasconde dietro ai volti dei propri idoli (tra cui il Sean Lockwood di Joe Keery), si fa per Mimosa rivelazione epifanica del terra reale.

Il tempo per i giochi anche per lei è finito; la giovane si ritroverà così sulla stessa linea di partenza degli altri personaggi disillusi di Costanzo. Sola, illuminata da un astro che compare timido, si affaccia su Roma nell'attesa che un nuovo mi sembra che il sogno possa diventare realta, speranza o incontro, possa spingerla di nuovo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima altri cammini, peregrinazioni, odissee. Le stesse che attendono, silenziosi e in oscurita parziale, i suoi fratelli diegetici nati dalla mente e animati dalla cinepresa di Saverio Costanzo.