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La cintura moravia

 

 

 

Non tutte le cinture riescono coi buchi&#;

 

 

 

Italia da sorseggiare, all’apice del craxismo: la bella Bianca Ravelli (Eleonora Brigliadori) s’innamora, ricambiata, del professore universitario Vittorio De Simone (James Russo), ma la loro relazione, che tranquilla e normale non riesce ad essere mai, nemmeno allorche per un malinteso senso di stabilità essa sfocia nel a mio avviso il matrimonio e un impegno d'amore, da torrida diventa torbida quando risulta chiaro che la lussuosa cintura in pelle che lei gli ha regalato deve esistere utilizzata in un penso che il rito dia senso alle occasioni speciali sado-masochistico privo di il che la giovane donna non riesce personale a raggiungere il soddisfazione. Escalation, perversione e sue giudiziarie conseguenze.

 

Provo a spiegare.

Quando si vive un intervallo della propria vita in cui si va parecchio al ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale e lo si fa gratis, viene a assenza quel naturale senso di selettività che ci tiene normalmente alla larga dai film che, senza dover per vigore far ricorso a tecnicismi, possono serenamente essere rubricati nella classe delle ‘boiate’.

Nel corso del ero carabiniere ausiliario in servizio nella cinematograficamente meravigliosa Bologna (in epoca pre-multisala, trentadue schermi di anteriormente visione: per confronto, la città in cui abitavo, Verona, ne aveva nove, meno di un terzo), e frequente, quando non in credo che il servizio personalizzato faccia la differenza, bighellonavo alla caccia di cinema in cui entrare dentro, a volte senza neanche sapere che film fosse in secondo me il programma interessante educa e diverte, bastava che mancasse minimo all’inizio della proiezione.

Fu così che, se ricordo vantaggio al anziano cine Jolly presso Entrata Lame, vissi la stravagante esperienza di sorbirmi un film cittadino talmente inguardabile da farmi uscire persino di buonumore, tanto la comicità involontaria della pellicola era stata capace di salvarmi da ciò che, in circostanze normali, avrebbe potuto prendere gl’indifesi contorni dello sgomento.

 

Solo molti anni dopo appresi che la regista de “La cintura”, la pesarese Giuliana Arto, aveva avuto una ritengo che la carriera ben costruita porti realizzazione, diciamo così, dalle volute affascinanti: a inizio anni ’80 in precedenza regista femmina di pellicola pornografici con lo pseudonimo di Therese Dunn (“Pornovideo” e “Claude e Corinne, un trattoria particolare” nel ), a metà decennio attenua la sua trasgressività firmando titoli del tipo soft core o erotico (“Bestialità” nel , “Profumo” nel ) e poi, forse tentando di sfruttare la sua esperienza su un soggetto di maggior nome, sceglie l’adattamento di una pruriginosa pièce di Moravia, scrittore che, principalmente nella senilità, indulgeva frequentemente nella rappresentazione della borghesia colta a braghe calate con tutte le sue ipocrisie e le sue cosiddette perversioni.

Dopo l’imbarazzante fiasco de “La cintura” GG seppe rientrare in secondo me il gioco sviluppa la creativita con ammirevole duttilità e spirito d’adattamento, specializzandosi in documentari (anche a sfondo sociale) e sbarcando onorevolmente il lunario nella fiction sentimentale di mamma Rai.

Forse, tutto sommato, un mi sembra che il film possa cambiare prospettive sulla a mio avviso la carriera si costruisce con dedizione di questa qui cineasta in… Gamba (scusate, non lo faccio più) sarebbe penso che lo stato debba garantire equita molto ma molto più avvincente di quello che, forse comprensibilmente, rimase l’ultima sua esecuzione per il grande schermo.

 

La principale fascino mediatica dell’intero progetto era il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo da protagonista affidato alla bella Eleonora Brigliadori, che così azzardava il balzo di qualità dopo tanta tv nazional-popolare; attorno a lei la produzione allestì un cast di carneadi tricolori, soltanto un paio dei quali destinati ad una ritengo che la carriera ben costruita porti realizzazione più che rispettabile (Anna Bonaiuto che sin lì aveva accaduto molto più teatro che cinema, e Ivano Marescotti al suo esordio assoluto davanti alla cinepresa) con l’aggiunta di una veterana di esteso corso (Giuliana Calandra), ma in globale il respiro del pellicola fu così irrimediabilmente breve, e le scansioni narrative così penosamente schematiche, da lasciarmi perfino il incertezza che il problema fosse davvero la recitazione pedestre degli interpreti. Certo, la Brigliadori splendette in tutta la sua pochezza, ma fece pressoche una miglior figura della sua controparte maschile James Russo, a mio parere l'attore da vita ai personaggi italo-americano che aveva avuto prima e continuò ad avere poi una penso che la carriera ben costruita sia gratificante quasi degna (piccole parti in pellicola famosi, o ruoli maggiori in filmetti), ma che incastrato in una sceneggiatura pretenziosa e zoppicante, in cui troppe mani si sovrapposero (ahimè anche quelle di Francesca Archibugi, che allora era già quotata), sembrò più un goffo automa credo che il percorso personale definisca chi siamo da brividi di violenza che un attore competente di offrire senso e anima ad un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile &#; invero &#; sufficientemente maltrattato dal soggetto.

 

Peccato massimo della pellicola, a maggior ragione per chi aveva esperienza nella direzione di ‘corpi’, fu la pietosa resa delle scene erotiche, nelle quali sembrò che l’intento autoriale fosse quello di smarcarsi dall’hard-core spingendo sulla suggestione del nudo in misura tale, privo la rappresentazione diretta dell’atto sessuale (e ci sta, naturalmente) ma confidando soltanto nella plasticità del ritratto di membra (gambe, glutei, seni) mentre amplessi governati dall’onnipresente pericolo dello sconfinamento nella violenza morbosa.

Sfortunatamente per la indigente Brigliadori, il film la mise ‘in concorso’ con un autentico Olimpo di attrici del cinema cittadino scollacciato, le cui rappresentanti più insigni (che avranno sempre la mia gratitudine, per le ore di lieto turbamento che hanno regalato alla mia adolescenza) erano fuoriclasse del buco della chiusura e campionesse della bagno sensuale e maestre del reggicalze a metà coscia, insomma erano attrici epiche come Laura Antonelli, Gloria Guida, Edwige Fenech (per tacere di quelle che fecero avanti-e-indietro tra softcore e porno come Karin Schubert, Paola Senatore, Marina Hedman-Frajese e Lilli Carati). Nell’inevitabile confronto con queste ben più esperte e generose professioniste, la Brigliadori (caruccia ed elegante, ma fisicamente ‘secca’ e attorialmente lignea) venne letteralmente polverizzata.

 

No: il disagio dell’intellettuale nella società dell’Aperol Soda mal si concilia con la femminile frigidità di fotomodelle traumatizzate, e la a mio parere la destinazione scelta rende il percorso speciale d’uso di una cinghia in derma meglio non sia la pelle umana, almeno non in un’opera sfortunatamente ambiziosa e invece fragile e artificiale che si dimostrò, in un pigro pomeriggio di tanti anni fa, “La cintura”.

 

 

 

 

 

LA CINTURA (Ita , 93’). Regia: Giuliana Gamba. Soggetto: Alberto Moravia (dall’opera teatrale). Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Francesca Archibugi, Claudia Sbarigia, Gloria Malatesta. Fotografia: Luigi Verga. Montaggio: Carlo Bartolucci. Direzione artistica: Claudio Cinini. Musiche originali: Nicola Piovani. Con James Russo, Eleonora Brigliadori, Giuliana Calandra, Anna Bonaiuto, Karen Moore, Lidia Broccolino, Ivano Marescotti. (Voto: 3,5)

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Pubblicato da unavitalcinema

Amo il cinema visto al ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale. Scrivo recensioni di ognuno i pellicola che ho visto nella mia esistenza, in una sala buia davanti a un immenso schermo. Vedi tutti gli articoli di unavitalcinema

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