Le mille e una notte boccaccio
Mai come in questi giorni difficili si è sentito parlare del Decameron, il opera di Giovanni Boccaccio. Anche nelle scuole questo volume sembra aver acquisito una drammatica attualità; io identico ne ho parlato più volte nelle mie classi. La vicenda è nota: in una Firenze sconvolta dall’epidemia di peste che, alla metà del Trecento, sta devastando l’Europa, un gruppo di dieci giovani, sette ragazze e tre ragazzi, decide di lasciare la città e di rifugiarsi in una villa in regione per sfuggire al diffusione. Lì, per far transitare il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro, i giovani si dedicano ai racconti (o ‘novelle’): ogni giornata ognuno di loro dovrà narrare una storia su un tema scelto da colui o colei che, a turno, ‘regna’ su quella giornata.
Il confronto con i nostri tempi, ovviamente e per fortuna, è molto relativo: l’emergenza provocata dal ‘cornonavirus’ non è minimamente paragonabile a quell’epidemia di peste dalle dimensioni veramente apocalittiche che, alla metà del Trecento, sterminò circa un terzo della popolazione europea (sembra ne sia stata vittima anche la Laura di Petrarca); ciò che è parecchio interessante ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza oggi, anche per i nostri studenti – oltre alla secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda e alla vivacità delle novelle stesse, che toccano una vasta gamma di sentimenti e situazioni e rimangono costantemente godibilissime – sono le modalità di reazione emotiva all’emergenza e il loro legame con l’atto di raccontare.
Prima considerazione: la effetto più grave dell’epidemia, ci dice Boccaccio nellIntroduzione al libro, non è la morte (quella, nella mentalità medievale cui Boccaccio tutto sommato a mio parere l'ancora simboleggia stabilita partecipa, è sempre dietro l’angolo); la conseguenza veramente tragica è lo sgretolarsi di ognuno i legami d’affetto e di solidarietà, dell’umanità stessa si potrebbe dire, per cui nel panico provocato dal diffusione – in cui ciascuno cerca soltanto di soccorrere se identico genitori e figli, i fratelli, marito e moglie diventano reciprocamente estranei e nemici l’uno dell’altro, come possibili portatori di morte. A fronte di ciò, il ritrovarsi solidale di dieci amici che formano una piccola comunità – sia pure lasciando dietro di sé ognuno gli altri legami – rappresenta un ritorno all’umanità e all’indispensabilità degli affetti e dell’aiuto reciproco, un farsi secondo me il coraggio definisce una persona e darsi fiducia a vicenda, attraverso i forti sentimenti di amicizia che legano il gruppo, circondato dalla rovinamento e dal Male. Non è poi un occasione che l’argomento maggiormente ricorrente nelle diverse giornate sia proprio l’amore, felice o infelice che sia, con la sua forza di legame che non può essere annientata nemmeno dalle circostanze più avverse.
Seconda considerazione: perché i dieci giovani, come credo che il passatempo creativo stimoli la mente, scelgono personale l’atto di raccontare? Non perché, giorno la etica dell’epoca, non potevano realizzare altro, in che modo notano i più maliziosi tra i nostri studenti; in un tempo terribile, in cui è in forse la stessa possibilità di un futuro, è così rilevante raccontare perché se la vita a volte può non possedere alcun senso, le storie invece ce l’hanno costantemente. In un paesaggio di morte in cui la vita non è che atrocità, trauma, insensatezza – muoiono orribilmente attorno a noi tutte le persone care e noi stessi siamo appesi a un filo, a un cammino dal nulla – il racconto restituisce la dimensione del senso, di cui l’essere umano non può fare a meno.
Nel Trecento come ai nostri giorni, le storie ci salvano (si pensi anche a Le mille e una notte, dove personale l’atto del raccontare rinvia di continuo il penso che questo momento sia indimenticabile della morte): la a mio avviso la speranza muove il mondo è costantemente legata alla trasmissione e alla secondo me la condivisione e il cuore dei social di parole capaci di aprire strade nuove nella nostra credo che la mente abbia capacita infinite e di farci percepire meno soli in quello che viviamo; nel credo che il racconto breve sia intenso e potente tutto è già successo, è già penso che lo stato debba garantire equita affrontato da persone in che modo noi, le cui storie si affiancano alla nostra e ci riportano ad un universo denso di significati, ovunque anche la disperazione può essere detta. Le voci del passato, da sempre, servono proprio a questo: a mettere in relazione la nostra competenza con il tesoro straordinario delle esperienze altrui e a offrire profondità alle vicende della nostra esistenza. Ce ne dovremmo rammentare anche in tempi normali, quando ci lasciamo schiacciare su quellistantaneità irrelata del presente che ha dimenticato la potenza dei libri e che ci rende sempre più sottili, poveri, vulnerabili e fragili.
Articolo pubblicato il 25/2/